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ADESSO CHE SEI QUI DI MARIAPIA VELADIANO, GUANDA 2021

“La malattia mette di fronte a due strade. Vedere solo la perduta normalità, sottolinearla in ogni caduta, défaillance, ogni momento di confusione reale o temuta e quindi inseguire una cattiva imitazione di una normalità perduta. Si cerca di riportare il malato alla realtà ma è un errore, un dolore per i malati. Oppure si impara a lasciarsi portare nella loro realtà, a dire un mare di bugie, buone bugie, che fanno bene.

E’ una diversa normalità, normalità perché comunque c’è una vita possibile per chi è malato, bella e piena, anche se diversa.”


In questa frase illuminante Mariapia Veladiano riassume il senso della storia che ci va raccontando, la storia della narratrice e della zia Camilla che l’ha cresciuta come una madre, ma con maggiore leggerezza di quanto le madri di solito fanno.

E proprio la leggerezza la cifra di questa vicenda: di fronte all’arrivo del “tedesco”, l’Alzheimer, la nipote riesce a non entrare nella ricerca di una normalità, né nell’allontanamento, il rifiuto di vedere quello che sta succedendo: “C’è questa idea, mito, folle autoconvinzione che la vita sia vita solo se si riesce a ignorare la sua fragilità. Ma la fragilità, con tutto il suo disordine, è la verità delle nostre vite. La vita è sempre fragile e disordinata. Ecco la verità.”

Trova il modo di costruire una giostra di persone capaci di dare valore all’allegria intorno a zia Camilla, persone che la divertono, le parlano e la fanno parlare, la portano nell’orto a guardare le piante aromatiche che crescono ignare di ciò che succede a chi le ha piantate e continuano a espandere il loro profumo e a promettere salute a chi le sa usare. Trova persino un cane adatto. Insomma inventa un mondo a misura, privo di orologi, intessuto di risate.


Vivere in questa dimensione un po’ folle, la porta ad assumere un atteggiamento mentale che riporta nella sua esperienza scolastica, trasformandola. E’ talmente contagiosa questa allegra follia che anche le sorelle della zia recuperano l’affetto verso di lei come chiave per aprire la porta chiusa dal “tedesco” e relazionarsi con lei.


Bello e commovente, ha talvolta un tono appena appena didattico, la suddivisione continua fra buoni ( coloro che accettano la malattia) e cattivi (coloro che la rifiutano) qualche volta è di troppo, perché poi nella realtà è tutto molto complicato e  spesso si è un po’ buoni e un po’ cattivi, o almeno insofferenti, presi da altre preoccupazioni o affaticati. Però regala molti pensieri positivi, piccole perle da conservare: uno per concludere “L’orto è abbondanza, esubero, gente da sfamare ee a cui regalare. L’orto è esagerato come la vita. Non si può coltivare una pianta di pomodoro e una di zucchine.”

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