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BALZAC E LA PICCOLA SARTA CINESE DI DAJ SIJIE, ADELPHI 2001

Due diciottenni, nel regime maoista ai tempi della rivoluzione culturale, sono spediti a “rieducarsi” in un villaggio in mezzo alle montagne, caso successo veramente all’autore. La prendono con leggerezza, perché sono giovani e la vita ha ancora molto da offrire, sebbene loro, essendo figli di medici illustri e quindi “nemici del popolo”, rischino di passare anni in quel  buco.
Fortunosamente riescono a mettere le mani su un libro, un oggetto proibitissimo: Ursule Miroièt di Balzac, la cui lettura dischiude loro un mondo intero. Coinvolgono in questa scoperta una giovane bellissima e piena di vita, la figlia del sarto dell’intera regione.
Il primo libro è il capo di un filo che si dipana, portandoli via via a nuove scoperte e a nuove avventure, considerando che il regime osteggia tutto ciò che vanno imparando, in una progressione che non permette di interrompere la lettura: così il terzetto volteggia sul filo di una lama, sfidando il pericolo.
La scena iniziale già da sola basta a dar sapore a tutto il libro: l’arrivo al minuscolo paesino in mezzo ai monti, l’ispezione del violino che uno dei due ha portato con sé e con cui suona un pezzo di Mozart, ribattezzato lì per lì “Mozart pensa al presidente Mao”, tanto per renderlo accetto al capo villaggio, inaugurando una pratica di sbeffeggiamento del potere ottuso.
Altrettanto deliziosa la scena in cui uno dei due dipinge di rosso le unghie della Piccola Sarta con i semi di un fiore: un ritratto di adolescente innamorato e adorante, un profumo floreale che permea tutta la storia.
La narrazione è leggerissima, come un tessuto di seta, e altrettanto lucente, benché l’ambientazione sia cupa e riveli la trama con cui il regime avvolge ogni persona rendendole impossibile sfuggire al suo occhio vigilante. Ma i libri insegnano…

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